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Sport, innovazione, emozione.

Sport e tecnologia secondo il Signore degli Anelli, sponsor dell'acceleratore Spin Accelerator di Trentino Sviluppo.


Lo chiamano il Signore degli Anelli, perché in quella disciplina ha vinto tutto. Nella vita è Jury Chechi, classe 1969, campione olimpico, conduttore televisivo, fondatore e direttore di un’accademia di ginnastica. Uno degli atleti italiani più famosi e conosciuti nel mondo. Con lui abbiamo parlato di cosa significa “sport” e delle doti necessarie per eccellere in ciò che si ama fare. Lo abbiamo incontrato durante la visita all’hub green-tech di Trentino Sviluppo, Progetto Manifattura, dato che Jury Chechi è sponsor dell’acceleratore per startup sportive Spin Accelerator, un programma unico in Europa la cui prima edizione è appena iniziata.

Jury, ripensando alla tua prima gara che ricordo conservi?
Il ricordo della mia prima gara è molto lontano, purtroppo (sorride). Però la ricordo sempre con molto piacere, perché mi divertii molto. Secondo me è estremamente importante quando un bambino, com’ero io allora, pratica sport. La prima gara la vinsi ma la vittoria fu davvero poco rilevante rispetto al fatto che mi divertii tantissimo, e questo fu di grande stimolo per continuare ad andare in palestra. È chiaro poi che la vittoria per me è diventata una cosa importante, ma in quel frangente non lo era.

Hai detto “vittoria”. Ma com’è vincere?
Sfatando il mito di essere uno vicino all’idea di De Cubertin – in realtà non lo sono ma rispettando chi non la pensa come me - l’importante non è partecipare ma è vincere. Provare, nel rispetto delle regole e nel rispetto dell’avversario, a vincere la gara. Io ho lavorato per vincere, non per partecipare. Però ho perso anche tante volte e la sconfitta fa bene, fa parte di un percorso per capire come si fa a vincere. Credo che quando perdi la cosa peggiore da fare è dire che hai perso perché hai avuto sfortuna o è stata colpa di qualcun altro. Se perdi è perché hai sbagliato qualcosa e se vinci non vinci perché hai avuto fortuna, ma perché te lo sei meritato. La sconfitta o la vittoria dipendono da quello che hai fatto. Ribadisco, però, che è molto meglio una sconfitta pulita di una vittoria sporca.

Se dovessi descrivere lo sport con tre parole, quali useresti?
Tre parole sono poche per definire lo sport che è una cosa ampia, bella e straordinaria. Intanto, se potessi, inserirei la parola sport nella nostra costituzione, che è ancora molto attuale e bella ma manca di questa parolina che è molto importante. Perché lo sport fa parte delle nostre vite. Poi certamente userei la parola “passione”, che muove molto. Ci metterei anche la “fatica”, che quando è funzionale a raggiungere un risultato ed un benessere psicofisico è una bella fatica. Io ne ho fatta tanta, ma la rifarei. Quindi “passione”, “fatica”… poi direi “emozione”. Mi sono sempre emozionato nel raggiungere gli obiettivi, nel riuscire a fare cose che avrei pensato impossibile che il mio corpo e la mia mente riuscissero a fare.

Hai mai pensato di non farcela?
Certo, è successo molte volte. Soprattutto prima dell’ultima mia sfida importante, le Olimpiadi di Atene del 2004. Avevo smesso per un incidente grave al tendine brachiale. Il medico, dopo l’intervento chirurgico, mi disse che non avrei potuto continuare la mia attività agonistica. E quindi smisi. Ma poi decisi di riprendere, perché volevo finire con una gara, perché come recita una poesia alla quale sono molto legato (Invictus, ndr) “Io sono padrone del mio destino, sono capitano della mia anima”: volevo essere padrone del mio destino e finire con un’ultima gara. Vinsi il bronzo ad Atene ed è stata per me una grande emozione capire che si può alzare l’asticella dei propri limiti e cercare di raggiungerli, quei limiti.

Come ti immagini lo sport del futuro?
Immagino uno sport dove ancora l’atleta sarà protagonista ma certamente con molta, molta più tecnologia. E credo che questo sia un bene. L’unico freno che metterei alla tecnologia nel mondo sportivo è quello di cercare di fare in modo che questa tecnologia aiuti tutti allo stesso modo. Negli sport paralimpici, dove alcuni atleti hanno bisogno di protesi, dovrebbe essere chiaro ad esempio che tutte hanno la stessa efficacia.

Cosa sarebbe lo sport senza tecnologia?
In alcuni casi sarebbe uno sport di livello più basso. Credo che la tecnologia possa aiutare ad alzare le performance sportive. Senza tecnologia avremmo performance inferiori. Ma ripeto, io credo che comunque alla fine la differenza continuerà a farla sempre l’atleta con il suo lavoro, la sua preparazione, la sua determinazione. Credo che questo connubio tra la tecnologia e la forza dell’atleta possa riservarci grandi sorprese. Sono ottimista per un futuro sportivo che ci possa regalare sempre maggiori soddisfazioni e performance sempre più elevate.

Guarda il video di Jury Chechi per Spin Accelerator - Sports Innovation Startup Accelerator.


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